Oscar 2020: l’ultimo ospedale di Aleppo nel documentario siriano “Alla mia piccola Sama”

    Quest’anno la sezione “miglior documentario” degli Oscar vede in lizza due pellicole sulla guerra civile siriana: “The Cave” (al quale abbiamo dedicato un articolo sul blog di Digital for Business) e “Alla mia piccola Sama”. È curioso che i due film siano accomunati da più peculiarità, come l’essere ambientati in ospedali di fortuna e incentrati sul lavoro incessante e coraggioso di due donne.

    “Alla mia piccola Sama” è un documentario girato da Waad Al-Kateab, una giovane giornalista siriana, che registra la sua vita dal 2011 al 2016 prima con lo smartphone, poi con l’aiuto di una videocamera. Centinaia di ore di video, nel corso delle quali Waad ricostruisce il passaggio dalle manifestazioni pacifiche contro la dittatura di Assad alla guerra civile, fino all’assedio di Aleppo che causò lo sgombero, dalla città distrutta, degli ultimi ribelli rimasti. “Alla mia piccola Sama” è un film concepito come una lettera narrata con la voce di una giovane madre alla figlia Sama (cielo in arabo), nata nel 2015 nel pieno della guerra.

    Il documentario ha vinto diversi premi, tra i quali Miglior documentario ai BAFTA 2020, gli “Oscar britannici”. Nel 2019, il film è stato presentato al Festival di Cannes, dove ha ricevuto il Prix L’Œil d’or come miglior documentario dopo una standing ovation di sei minuti. L’ultima candidatura è forse la più prestigiosa: domenica 9 febbraio, il documentario sarà presente alla notte degli Oscar. Con il patrocinio di Amnesty International, “Alla mia piccola Sama” uscirà nelle sale italiane il 13 febbraio.

    L’assedio di Aleppo e la distruzione degli ospedali

    Quando, nel 2011, iniziano le proteste contro la dittatura di Assad, Waad Al-Kateab ha diciotto anni e si è appena trasferita ad Aleppo per studiare economia al prestigioso ateneo della città. Waad si unisce alle manifestazioni per la liberazione e le registra con il cellulare per mostrare al mondo le immagini che il regime censura.

    Un giorno, quasi per caso, Waad incontra il giovane studente di medicina Hamza. I due si innamorano, accomunati dalla dedizione per la ribellione che li spinge a non lasciare Aleppo, come fanno invece molti aleppini in fuga dalle bombe di Assad. La città più popolosa della Siria diventerà infatti, di lì a pochi anni, una città fantasma.

    Quella che era cominciata come una rivoluzione popolare contro il regime si trasforma in fretta in una guerra civile: i moti sono sedati con l’aiuto dell’aeronautica russa, che prende di mira i quartieri più popolati, le case e i mercati. Nel giro di un anno, vengono distrutti otto dei nove ospedali civili della città.

    La piccola Sama, simbolo di speranza

    Hamza, che diventerà il marito di Waad durante l’assedio, è un medico impegnato a curare i feriti e dirigere questo ultimo ospedale di fortuna della città. Nonostante le condizioni impossibili in cui si trova costretto a operare, compie 891 interventi in un anno. Ma Hamza è anche molto di più: vero e proprio punto di riferimento per la resistenza di Aleppo, rilascia interviste alla stampa internazionale per denunciare i soprusi di Assad, ed è anche il contatto al quale si rivolgono i mediatori delle Nazioni Unite per informarlo della tregua proposta dai russi.

    Quando la loro casa viene bombardata e semidistrutta, Waad e la piccola Sama si trasferiscono nell’ospedale dove lavora Hamza: qui vivranno per più di un anno, in una stanza riqualificata per darle una qualche parvenza di familiarità. Dopo ogni bombardamento, Waad scende di corsa nelle sale d’accoglienza e documenta l’orrore dei feriti che arrivano nelle braccia dei soccorritori, ricoperti di sangue e polvere.

    Il film è dedicato a Sama, forse anche per chiederle perdono: perché farla nascere in un tale inferno? “Invidio la madre di quel ragazzo che è morta prima di dover seppellire il figlio” riflette Waad dopo l’ennesima morte avvenuta di fronte ai suoi occhi. Sama diventa un simbolo di speranza per i suoi genitori e per chi lavora senza tregua all’ospedale: è attraverso di lei che ci si può immaginare un futuro diverso.

    L’ennesimo bombardamento nel 2016 spinge Hamza e Waad a prendere la decisione più difficile: lasciare Aleppo. Quando risulta chiaro che la resa è l’unica condizione possibile per i ribelli, Waad si rivolge alla figlia, chiedendole: “Mi odierai per essere rimasta o per essere partita?”. Dopo un breve periodo in un centro profughi turco, la famiglia riesce a raggiungere Londra, dove vive attualmente.

    Il premio diritti umani conferito da Amnesty International

    Lo scorso novembre, durante la 25esima edizione del MedFilm Festival, Amnesty International Italia ha conferito a “Alla mia piccola Sama” il Premio Diritti umani. Il premio, nato con lo scopo di creare un momento dedicato ai diritti umani in un contesto già particolarmente attento alla loro promozione, è stato consegnato da Riccardo Noury, portavoce dell’associazione, che ha commentato:

    “Questo intenso documentario ci ricorda che, mentre tutti già parlano del dopoguerra, la guerra in Siria non è affatto terminata. ‘Alla mia piccola Sama’ descrive nel modo più drammatico possibile l’efficacia della principale tattica usata dalle forze siriane durante il conflitto: assedio, bombe e fame fino alla resa. Una tattica che ha causato sofferenze infinite ai civili, alla quale anche la nascita di una figlia, lungi dall’essere un atto irresponsabile, diventa un atto di resistenza”.